I DIAVOLI DEL GRAND PRIX di Roger Corman – Lotus 25, la prima monoscocca merita un film

“Ho trovato la mia macchina. E’ da scrivere.”

La Lotus 25 di Jim Clark durante le riprese al Gran Premio del Belgio, che segnerà la prima vittoria per entrambi.

Il pilota di automobile non sarebbe che… vediamo… un… un… un torero della meccanica. Ma che bella metafora, eh? La sceneggiatura di Robert Campbell infatti prevedeva una storia ambientata nel mondo delle corride, poi Roger Corman decise di aggiornarla. Per la produzione dell’AIP, Corman riunì il suo ensemble, facendo leva sul fatto che nessuno avrebbe rifiutato di starsene in giro per l’Europa a fare cinema, anche a costo zero. Un ventitreenne Francis Ford Coppola fece da aiuto regista, macchinista e fonico. Già che era in Europa Corman ne volle approfittare per girare un film suo e dopo le riprese del GP di Gran Bretagna ad Aintree se ne andò a Dublino delegando però sceneggiatura e regia a Coppola, che siglò Dementia 13 (Terrore alla tredicesima ora). Aveva voglia di staccare e se ne andò in Unione Sovietica.

In I diavoli del Grand Prix Corman imprime il suo sigillo, sia di linguaggio, riempiendo tutti i piani dell’inquadratura (la composizione della piramide umana al lido a Montecarlo sullo sfondo, per esempio) che tematici, marchi lasciati dall’exploitation e dal lungo ciclo dedicato a Poe, come l’amore al cimitero, che poi raggiungerà con I selvaggi (The wild angels, 1966) il vertice della blasfemia.

Trevor Taylor, seconda guida Lotus-Climax, con la vecchia 24 sempre al GP del Belgio.

I protagonisti interpretano i piloti della Lotus, che nel ’62 schierava Jim Clark e Trevor Taylor. Il patron non assomiglia a Colin Chapman, che invece trova un suo sosia in un precedente cornuto manipolatore e pieno di rancore, Sir William Dragonet. In maniera assolutamente involontaria Corman registra una delle stagioni più importanti della Formula 1, con il debutto della 25, la prima monoposto monoscocca, che rappresentò la definitiva consacrazione del talento di Chapman. La 25 non rimpiazzò completamente la precedente così che Joe Machin è sì doppiato dal pilota di punta Jim Clark mentre Trevor Taylor, con la 24 e l’inconfondibile casco giallo, guida per l’antagonista Steve Children. La 24 col tradizionale telaio a traliccio infatti assolveva, nei piani di Chapman per il ’62, due ruoli. Era una vettura decente che garantiva dal fallimento della 25, soprattutto per i numerosi clienti privati indispensabili a dar respiro finanziario a Cheshunt, e inoltre poteva rappresentare il banco di prova per qualcosa di straordinariamente innovativo. Nel flusso aerodinamico, la grande svolta era avvenuta con la 21 per la stagione 1961, quando la sospensione anteriore era stata ripulita dal gruppo molla-ammortizzatore, ora portato all’interno. E dietro il semiasse aveva smesso di costituire un elemento della sospensione per sostenere i carichi laterali, una delle semplificazioni chapmaniane sia sulla serie che sulle vetture da corsa, ma ormai giunta al limite. A dare una spinta decisiva a quel meraviglioso pacchetto che fu la 25 era stato il regolamento entrato in vigore proprio nel ’61, con l’introduzione in Formula 1 del 1500 aspirato. I costruttori inglesi si erano illusi di una proroga del 2 litri e mezzo, tanto che, a corto di motoristi, dovettero recuperare l’ormai sfiancato 4 cilindri Coventry Climax FPF. Ovviamente a Coventry stavano lavorando per fornire uno strumento per lottare ad armi pari contro l’8 cilindri Ferrari, ma Chapman non era di buon umore: i rapporti tra Lotus e Climax avevano toccato il punto più basso soprattutto per l’insoddifacente qualità dell’FWE per la Elite ed era sicuro che la precedenza per il nuovo propulsore sarebbe andata a Cooper, Lola e le monoposto schierate da Rob Walker per Moss, cosa che regolarmente avvenne. Grazie all’intercessione della Esso e all’uscita di scena della Elite il nuovo 8 cilindri FWMV fu disponibile anche a Cheshunt, ma il fatto che sviluppasse un centinaio di cavalli in meno rispetto ai due litri e mezzo costringeva a quel lavoro di ottimizzazione di ogni dettaglio che era stato avviato con la 21. Dopo una stagione dominata dalle Ferrari di Phil Hill e di Von Trips la lotta per il titolo 1962 fu una questione tutta britannica.

Nonostante sia ricordato come regista spiccio, da due settimane di riprese a basso budget, agli inizi degli anni ’60 Corman cominciò ad interessarsi alla psicoanalisi. Freud si incrociava con Edgar Allan Poe, che lo aveva sempre affascinato e al quale dedicò un ampio ciclo – recuperando più o meno sempre gli stessi set – con 8 film tra il 1960 e il 1964. L’attenzione all’inconscio attraverserà poi tutta la produzione, e anche in I diavoli del Grand Prix il protagonista ricorre al sogno per esprimere le sue paure, lui su una vettura bianca che corre dove altre sette vetture ma nere stanno convergendo, inevitabile lo scontro fatale. (Enrico Azzini)

Il film copre cinque Gran Premi europei, in un periodo che va dai primi di giugno alla seconda metà di luglio. Comincia a Monaco con una gara che nella realtà fu addirittura più drammatica della finzione. Nell’incidente innescato prima del tornantino del Gazometro la ruota posteriore di Ginther schizzò fuori pista, uccidendo un commissario di percorso. Primo a tagliare il traguardo Bruce McLaren con la Cooper Climax, alle sue spalle la coppia Ferrari con Phil Hill e Bandini. Il Gran Premio del Belgio a Spa fu quello nel quale Jim Clark ottenne la sua prima vittoria, insieme a quella della 25, seguito dai due Hill, Graham con la BRM e Phil con la Ferrari. Le riprese poi si trasferirono in Francia per una corsa non titolata a Reims, vinta da McLaren davanti a Graham Hill con la BRM e Innes Ireland con la Lotus 24. Poi fu la volta di Rouen, questa valida per il Mondiale, con i suoi pittoreschi paddock nell’erba, al limitar del bosco. In una gara nella quale le Ferrari erano assenti per uno sciopero degli operai e le vetture inglesi di vertice furono afflitte da problemi meccanici, l’americano Dan Gurney riuscì a dare alla Porsche la prima e unica vittoria in F 1 a bordo della 804, una monoposto che incarnava tutto lo spirito del Marchio tedesco, motore boxer 8 cilindri, raffreddamento ad aria forzata e sospensioni a barre di torsione. Il film si conclude ad Aintree per il Gran Premio d’Inghilterra, nel quale Clark conquista ancora un successo staccando nettamente Surtees con la Lola-Climax e McLaren con la Cooper. Tuttavia sarà Graham Hill con la BRM, che realizzava in casa anche i suoi V8, ad aggiudicarsi il titolo.

Nel ’63, quando poi il film uscì nelle sale, la 25 annientò la concorrenza e Jim Clark conquistò il suo primo titolo mondiale. La validità del progetto fu indiscutibile, tanto che la squadra ufficiale la schierò fino al ’65, quando Clark fu di nuovo campione.

FONTI:

Roger Corman (con Jim Jerome, traduzione di Giovanna Pecoraro), Come ho fatto cento film a Hollywood senza mai perdere un dollaro, Lindau, 1998, Torino.

Robin Read, Colin Chapman’s Lotus, Haynes, 1989, Yeovil.

Blog su WordPress.com.